Tavola di G. Spano sullo scavo del 1850 nella necropoli meridionale di Tharros (da G. Spano, Notizie sull’antica città di Tharros, in BAS, 1861, tav. f.t.).
Tavola di G. Spano sullo scavo del 1850 nella necropoli meridionale di Tharros (da G. Spano, Notizie sull’antica città di Tharros, in BAS, 1861, tav. f.t.).

Già dal XVII sec. le necropoli di Tharros erano meta di cercatori di tesori, attirati dalla ricchezza dei corredi funerari. Fu però nel corso dell’Ottocento che si compì l’esplorazione e lo scavo delle aree necropolari, soprattutto con interventi non scientifici che determinarono la distruzione di parte delle tombe e la dispersione dei materiali.
Le prime notizie di scavi effettuati nella necropoli meridionale risalgono agli anni Trenta dell’Ottocento; tra queste, assai preziosa è la testimonianza del generale piemontese Alberto Ferrero Della Marmora che, in occasione di suoi sopralluoghi nel 1835 e 1836 presso la torre spagnola di S. Giovanni, ancora presidiata dai militari per la difesa della costa, poté assistere allo scavo di diverse tombe da parte dei soldati di stanza. Tanta era la fama della necropoli che perfino il Re Carlo Alberto e suo figlio Vittorio Emanuele nell’aprile del 1841 presenziarono e parteciparono allo scavo di alcune sepolture.
Solo nel 1850, però, fu condotta la prima indagine scientifica ad opera del Canonico Giovanni Spano, prontamente pubblicata nelle Notizie sull’antica città di Tharros. L’intervento effettuato nell’anno successivo dall’inglese Lord Vernon, che partì da Tharros con il prezioso contenuto di oltre quattordici tombe a camera inviolate, scatenò quella sorta di «caccia all’oro» che vide circa cinquecento uomini di Cabras e dei paesi vicini operare uno dei più grandi saccheggi che la necropoli mai conobbe; per tre settimane, alla disperata ricerca di gioielli e suppellettili varie, questi uomini, scavando giorno e notte, depredarono più di cento tombe, contribuendo alla dispersione dei corredi in numerosissime collezioni pubbliche e private.
Non meno deleteria fu l’opera dell’allora Direttore del Regio Museo di Cagliari, Gaetano Cara, il quale, autore di scavi ufficiali nell’area funeraria tra il 1853 e il 1856, curò la vendita illegale di una grande collezione costituita dai materiali recuperati nel corso delle sue ricerche; un ampio lotto pervenne al British Museum di Londra, di un altro, battuto ad un’asta pubblica, si sono perse le tracce. Negli anni successivi, così come anche era avvenuto in precedenza, continuò l’opera di saccheggio sistematico da parte di cercatori occasionali che contribuirono ulteriormente alla dispersione dei corredi.
Tra il 1885 e il 1886 il Regio Ispettore alle Antichità Filippo Nissardi compì degli interventi di scavo a Capo S. Marco, preceduti dalla realizzazione di un accurato rilievo topografico dell’area tharrense, dalla necropoli settentrionale a tutto il Capo. Conosciamo i risultati delle sue indagini dai brevi resoconti pubblicati da cui emerge l’immagine di una necropoli profondamente compromessa e depredata, tanto da sconsigliare la prosecuzione di ogni attività.
Dopo la fortunata stagione degli scavi ottocenteschi, effettuati principalmente nella necropoli meridionale, Tharros per oltre un cinquantennio non conobbe ricerche regolari. È probabile però che scavi clandestini siano continuati soprattutto nelle sue necropoli, benché non se ne abbia notizia ufficiale.

Foto aerea dell’area archeologica di Tharros nel 1960 durante gli scavi di G. Pesce (da G. Pesce, Sardegna punica, Cagliari 1961, fig. 26).
Foto aerea dell’area archeologica di Tharros nel 1960 durante gli scavi di G. Pesce (da G. Pesce, Sardegna punica, Cagliari 1961, fig. 26).

La ripresa delle indagini, avvenuta nel 1956, si deve alla pervicace volontà dell’allora Soprintendente Gennaro Pesce che, con fondi della Cassa per il Mezzogiorno, poté scavare per lunghi periodi, dal 1956 al 1964, ampi tratti della città. La scelta del Pesce ricadde infatti non sulla necropoli meridionale, che appariva ormai irrimediabilmente compromessa e devastata, ma sull’abitato punico-romano che, grazie alla presenza di strutture affioranti in superficie, venne correttamente individuato sul versante orientale del colle di S. Giovanni. Con l’ausilio di decine di operai, alcuni dei quali ancora oggi rappresentano la memoria vivente dell’impresa, venne messa in luce la maggior parte delle rovine oggi visibili nell’area archeologica tharrense.
Le prime strutture individuate e indagate da Pesce, nel corso degli anni 1956-1957, furono due edifici termali romani (le Terme n. 1 e n. 2) e il cd. castellum aquae, probabilmente un deposito dell’acqua collegato all’acquedotto. Seguì, negli anni 1958-59 lo scavo dell’area compresa tra le strutture già messe in luce ed in particolare del grande tempio punico detto “delle semicolonne doriche”. Dell’anno successivo è la scoperta di un’altra area sacra, il tempio cd. “a pianta di tipo semitico”, ubicato a lato del precedente, mentre nel 1961 fu individuato il Tempietto K, un edificio di età repubblicana poi inserito in un più ampio complesso sacro di epoca imperiale. Negli stessi anni vennero sistematicamente messi in luce interi quartieri abitativi e le fortificazioni di S. Giovanni. Straordinaria fu la scoperta nel 1962, sul colle di Murru Mannu, del tofet, il tipico santuario fenicio-punico caratterizzato dalla presenza di urne cinerarie e stele, impiantato sui resti di un villaggio nuragico. Si deve invece all’iniziativa di F. Barreca, allora collaboratore del Pesce, divenuto in seguito Soprintendente, la scoperta e lo scavo, nell’anno 1958, di un tempietto extraurbano posto sul versante occidentale del Capo S. Marco.
Lo stesso studioso diresse, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo, due importanti interventi di scavo che portarono alla luce il cd. tempio di Demetra e le fortificazioni di Su Murru Mannu.

L'area di Su Murru Mannu in corso di scavo (da E. Acquaro, Tharros-VIII. Lo scavo del 1981, in RSF, X, 1, 1982, tav. XXI).
L’area di Su Murru Mannu in corso di scavo da parte del CNR (da E. Acquaro, Tharros-VIII. Lo scavo del 1981, in RSF, X, 1, 1982, tav. XXI).

Un’altra importante stagione di ricerche, svoltasi con campagne annuali dal 1974 al 1996, ha avuto come protagonista una missione congiunta dell’Istituto per la Civiltà fenicia e punica del CNR di Roma e della Soprintendenza di Cagliari, diretta nel primo anno da A. Ciasca, successivamente da E. Acquaro e, dal 1995, da M.T. Francisi. In una prima fase è stata interamente indagata l’area del tofet, con il conseguente recupero di migliaia di urne e centinaia di stele, molte delle quali sono oggi esposte al Museo di Cabras; si è passati alla fine degli anni Ottanta all’adiacente quartiere artigianale, ottenendo, anche grazie al contributo di analisi archeometriche, risultati di grande rilevanza scientifica per la ricostruzione della metallurgia del ferro in età punica. Nell’ambito delle stesse ricerche sono stati effettuati più limitati interventi presso la necropoli meridionale (1982), in un tratto della cloaca e in una cisterna sul colle di Murru Mannu (1994, 1996) e presso le fortificazioni di S. Giovanni (1992-1996). La città di Tharros è stata oggetto negli stessi anni del “Progetto Finalizzato Beni Culturali” del CNR nell’ambito del quale, con il contributo di un’équipe interdisciplinare, sono state affrontate tematiche relative al degrado e alla conservazione delle strutture antiche e più in generale inerenti il territorio.
Parallelamente agli scavi nell’abitato, si sono svolti alcuni interventi nelle aree funerarie: nel 1981 la Soprintendenza Archeologica ha indagato un settore della necropoli meridionale, mentre tra il 1988 e il 1991 G. Tore, dell’Università di Cagliari, ha operato in un lembo di quella settentrionale, fortunosamente scampato allo sviluppo edilizio del villaggio di S. Giovanni. Quest’ultima area, attualmente visitabile, è stata oggetto nel 2001 di un intervento di valorizzazione e documentazione, finanziato con un contributo dell’8 per mille.
Le ricerche sistematiche nella necropoli meridionale sono riprese nello stesso anno e sono continuate fino al 2004 ad opera della missione congiunta della Soprintendenza Archeologica e dell’Università di Bologna, in collaborazione con l’Università di Cagliari; con tali indagini si sono documentate più di cento tombe di età fenicia e punica che hanno restituito dati assai significativi per uno studio tipologico e dei rituali funerari della necropoli tharrense.
Negli anni 2009-2013 è stata indagata la necropoli settentrionale, localizzata presso la borgata di San Giovanni di Sinis, ad opera dell’Università di Cagliari, grazie ad una concessione di scavo quinquennale (dir. C. Del Vais); il risultato più significativo è stata la scoperta di un lembo funerario fenicio quasi inviolato, databile tra l’ultimo quarto del VII sec. a.C. e la prima metà del VI, con sepolture ad incinerazione in fosse scavate nella sabbia.
Nel 2012 sono riprese le ricerche nella necropoli meridionale, su concessione ministeriale all’Università di Bologna (dir. A.C. Fariselli); lo scavo, ancora in corso, ha permesso di mettere in luce numerose sepolture puniche a camera e a fossa scavate nel bancone roccioso e recuperare numerosi materiali di corredo.
A partire dal 2003, inoltre, sono state condotte ricerche geo-archeologiche e geo-morfologiche nella vicina area lagunare di Mistras, possibile sede del porto antico, da parte dell’Università di Cagliari, in collaborazione con gli Atenei di Sassari e di Bologna, anche grazie ad un finanziamento concesso dalla Regione Sardegna. Altre ricerche archeologiche sono state condotte in parallelo dall’Università di Sassari.