Scavi degli anni '60 (G. Pesce, Tharros, Cagliari 1966).
Scavi degli anni ’60 (G. Pesce, Tharros, Cagliari 1966).

Il tofet, scoperto nel 1962, si trova nel settore settentrionale della collina di Su Murru Mannu, a ridosso delle fortificazioni.
Con il nome convenzionale di tofet si individua un’area sacra a cielo aperto, in genere priva di strutture monumentali e circondata da un recinto sacro, nella quale sono deposte urne in ceramica contenenti resti animali e di fanciulli combusti. Alle urne, singole o a gruppi, si accompagnano, a partire dal VI secolo, particolari monumentini in pietra, stele o cippi, su cui si trovano simboli sacri della religione punica. Il santuario, così come risulta dalle numerose iscrizioni incise sui monumentini in pietra, era dedicato a due divinità, una maschile, Baal Hammon, e una femminile, Tanit. Questo tipo di santuario si documenta solo in area centro-mediterranea (Africa nord-orientale, Sicilia e Sardegna), quella cioè più direttamente legata a Cartagine.

Scavi degli anni '60 (G. Pesce, Tharros, Cagliari 1966).
Scavi degli anni ’60 (G. Pesce, Tharros, Cagliari 1966).

Fino agli anni Ottanta, anche sulla scorta di diversi passi biblici che menzionano una località presso Gerusalemme chiamata Tofet in cui i figli “venivano passati per il fuoco”, il santuario veniva ritenuto il luogo in cui avvenivano i sacrifici dei fanciulli. Le analisi effettuate sui resti incinerati, che hanno mostrato la presenza anche i feti, ha contribuito ad una riconsiderazione generale del problema; si è infatti affermata l’ipotesi che il tofet non sia luogo di sacrificio, ma area di deposizione dei bambini nati morti o defunti in tenerissima età prima di avere subito un rito di passaggio. Essi, purificati dal fuoco, sarebbero stati quindi deposti in luogo distinto dalla necropoli in quanto non ancora accolti nella comunità degli adulti. Recentemente è stata riproposta l’ipotesi della pratica di sacrifici umani.

Il tofet al momento dello scavo negli anni '70 (da F. Barreca, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari 1986, fig. 71).
Il tofet al momento dello scavo negli anni ’70 (da F. Barreca, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari 1986, fig. 71).

Il tofet di Tharros, impiantato sul preesistente villaggio nuragico ormai abbandonato, ha restituito migliaia di urne cinerarie in terracotta (brocche, anfore, pentole), databili tra la fine del VII sec. a.C. e l’inizio dell’età repubblicana, associate a poche centinaia di stele in arenaria. Le urne contenevano per lo più i resti incinerati di bambini da 0 a 6 mesi, raramente più grandi (fino a 5 anni), in associazione, in circa un terzo dei casi, con ossa di piccoli ovini (agnelli e capretti), evidentemente sacrificati alla divinità; solo nel 20% delle urne analizzate erano presenti esclusivamente resti di piccoli ovini, spesso insieme ad ossa di animali adulti.
Nelle stele, introdotte nel santuario a partire dal VI sec. a.C., la divinità è raffigurata in forma aniconica (non figurata) o antropomorfa, spesso accolta all’interno di tempietti caratterizzati da elementi architettonici di tipo egittizzante.
Attualmente nell’area sono visibili solo le capanne del villaggio nuragico e un basamento costituito da elementi reimpiegati dal tofet (sgabelli, frammenti di monumenti votivi, blocchi).