Necropoli

Per l’età fenicia e punica sono note due necropoli, una ubicata a sud della città sul Capo S. Marco, l’altra a nord in corrispondenza dell’attuale abitato di S. Giovanni di Sinis.
La necropoli meridionale venne scavata e in gran parte depredata nel corso dell’Ottocento, ma è stata oggetto di indagini di scavo regolari anche a partire dal 2001. La necropoli settentrionale, meno nota e apparentemente meno estesa dell’altra, oltre ad un probabile saccheggio ottocentesco ha conosciuto negli anni Ottanta del Novecento e dal 2009 di scavi regolari.
Le due aree funerarie sono caratterizzate da tipi tombali e pratiche funerarie comuni.
Per l’età fenicia (VII-VI secc. a.C.) la pratica funeraria più attestata a Tharros è l’incinerazione, sia con deposizione primaria che secondaria. Nel primo caso il defunto veniva cremato all’interno della stessa tomba, di forma oblunga e di dimensioni sufficienti ad ospitare la pira funeraria su cui veniva deposto il cadavere; quando la combustione era compiuta, le ossa del defunto si depositavano in posizione anatomica sul fondo della fossa, insieme ai resti del legname bruciato. A questo punto veniva deposto il corredo di accompagno, la tomba veniva riempita e poi spesso sigillata con lastre.

Nel caso della deposizione secondaria, i defunti venivano incinerati in luogo diverso da quello di sepoltura (ustrinum). Dopo la cremazione del cadavere sulla pira funeraria, i resti ossei venivano raccolti e posti nella tomba, più spesso una semplice fossa o più raramente una cista litica (una “cassetta” costituita da lastrine in arenaria); le ossa erano in genere deposte direttamente sul fondo della fossa o più raramente all’interno di vasi in ceramica (urne), accompagnate dal corredo funerario costituito da una serie di vasi rituali e dagli oggetti personali e di ornamento del defunto (gioielli, scarabei, amuleti, armi).
Con l’affermarsi della potenza cartaginese, l’incinerazione venne sostituita dalla pratica dell’inumazione; si è a lungo ritenuto che tale cambiamento rituale sia avvenuto improvvisamente nella seconda metà del VI sec. a.C., ma l’individuazione di alcune sepolture più antiche ha recentemente suggerito che tale processo sia iniziato già alla fine del VII o all’inizio del secolo successivo e si sia affiancato alla prevalente pratica incineratoria, fino a soppiantarla nel corso del VI secolo.

L’affermarsi della pratica inumatoria coincise con l’introduzione di nuovi tipi tombali, essenzialmente tombe a camera e a fossa scavate nella roccia. Le prime comprendevano un vano d’accesso a pianta rettangolare (dromos), in genere dotato di una gradinata per facilitare la discesa, e una camera quadrangolare piuttosto semplice, talvolta con nicchie alle pareti e più raramente con fosse scavate sul pavimento; la camera veniva in genere chiusa con una lastra di arenaria mentre il vano d’accesso veniva interamente riempito con il materiale di risulta dello scavo (schegge di arenaria) misto a sabbia e terra. Le tombe a fossa, invece, di profondità variabile, avevano forma parallelepipeda e presentavano spesso all’imboccatura delle riseghe (incassi) funzionali alla sistemazione della copertura, costituita in genere da lastre in arenaria giustapposte, più raramente da coperchi monolitici con sommità a doppio spiovente con altarino. I defunti, sempre in posizione supina e con le braccia lungo i fianchi o al petto, potevano essere deposti direttamente sul piano pavimentale o all’interno di bare lignee, di cui si sono conservati solo i chiodi e le coppiglie in metallo. All’interno delle tombe venivano deposti ricchi corredi ceramici e oggetti d’ornamento personale. L’area della necropoli doveva essere ben curata, accessibile per i rituali funerari, forse anche periodici, e doveva essere caratterizzata in superficie dalla presenza di signacoli (cippi) in corrispondenza delle diverse tombe.

In età romana le aree funerarie risultano molto più estese rispetto alla fase precedente e occupano quasi tutto il litorale occidentale della penisola, dal Capo S. Marco a S. Giovanni di Sinis, localizzandosi anche lungo la strada in uscita dalla città.
In tale epoca si assiste ad un riutilizzo episodico delle sepolture puniche, ma soprattutto si documentano nuovi tipi tombali, quali sepolture alla “cappuccina”, cioè foderate con embrici (tegole) giustapposti, tombe a fossa terragna, mausolei, tombe a cupa, cioè con elementi semicilindrici posti a copertura delle fosse, tombe a sarcofago litico, ecc. Nelle diverse fasi di tale lungo periodo è documentata sia l’incinerazione che l’inumazione.
Nuclei significativi di sepolture romane sono stati individuati nel fossato delle fortificazioni di Murru Mannu, dismesso in età primo-imperiale, sul versante meridionale del colle di San Giovanni e attorno alla chiesa di San Giovanni.